Ma ora è inverno, i colori sono altri.
La funicolare, mordendo i binari, ci porta a Sonloup. Niente neve a queste quote e quindi le ciaspole restano attaccate allo zaino.
Il sentiero si inerpica subito. Parto con un buon ritmo senza pensarci, nonostante sia mattino e mi servirebbe un po’ di riscaldamento. Non so perché, ma intimamente sono convinta che questa ripida salita durerà poco, come una bretella di collegamento tra la funicolare e la montagna.
Camminiamo per un po’ su una strada asfaltata, e anche questo, contrariamente al solito, non mi infastidisce.
“Sto per arrivare” mi dico inconsciamente.
Quando finalmente imbocchiamo un sentiero, la terra è compatta e spelata. Terra d’inverno, che si lascia inzuppare e asciugare continuando a dormire per recuperare le forze.
La giornata è limpida. Il lago Lemano pure sonnecchia, le catene di montagne alle sue spalle si innalzano sempre più, allontanandosi, i Dents du Midi campeggiano perentori. Io rispondo al loro spettacolo con un sussulto di quell’emozione nata un giorno passato con loro, sulla Haute Cime, e ben accudita in me.
Continuando a salire, i ciuffi verdi di erba si diradano, la terra si ricopre di steli avvizziti, una coltre bronzea lucente sotto il sole di oggi.
Il pendio si è solo un poco addolcito, senza mai spianare però, nemmeno per pochi passi.
Dopo pochi minuti, il terreno si chiazza di nuovo di bronzo e si insinua in un boschetto. Qui il sentiero è stretto, si fa spazio tra i rami, scavalca radici. Una donna cha sta scendendo si ferma per lasciarci il passo: “C’è neve più su, fino alla cima” ci informa gentilmente “tenete le ciaspole”.
Attraversiamo una macchia di bosco e sbuchiamo su un altro versante del Folly. Da lì possiamo vedere, poco più alta, la cima del Molard.
Superato il tratto più scosceso, rompiamo le righe, e ciascuno procede a proprio piacimento. Mi scelgo il percorso, derapando ogni tanto appena sento che la pendenza si attenua.
“È lunga di lì” ci informa Rob indicando il sentiero di destra e rivolgendosi quindi verso l’erta.
“Saliamo di qui?!” esclama concitato qualcuno.
“Ma no, aspetta”, mi dico “mantieni il ritmo ancora un poco…va, arriva fino a quei cespugli e lì ti fermi”.
È un po’ dura, ma d’accordo, continuo fino ai cespugli. Senonché, raggiuntili, vedo Brigitta ferma poco più in su, sotto un albero. “Dai, spingi fin là” la voce in me mi sprona “ancora qualche passo…”
E così, un po’ in affanno, vado avanti. Intanto Brigitta lascia l’albero, per cui, una volta raggiuntolo, la voce in me mi suggerisce un’altra idea, senza esprimerla a parole questa volta, intimidita dai miei sforzi poderosi. La recepisco però e, chissà perché, non mi oppongo. E così mi spingo ancora più su, sempre mantenendo il ritmo di partenza.
Ma perché non rallento?
Poi, per distarmi dall’affanno, mi volto un attimo a sinistra verso il cielo aperto e così intravedo il pendio del Folly da cui siamo arrivati e mi stupisco.
Un attimo di sospensione… Sì, adesso mi fermo proprio, devo vedere.
È davvero così? Voglio dire, un tale strapiombo?! Voglio vedere bene.
La discesa da le Folly dalle pendici del Molard |
Mi tiro un po’ da parte e da lì lo osservo: scende a picco verso la valle, liscio di neve. Certo che era bello lasciarsi scivolare! Era quello il modo migliore per giocarci, limitatamente alle mie capacità di scivolamento.
Questa breve sosta mi basta per ritrovare energia e avviarmi con brio verso il secondo traguardo della giornata.
Non ho più bisogno di fermarmi ora, sento la fatica ma è sopportabile, posso avanzare fino alla cima del Molard.
La raggiungo tranquillamente, e come sul Folly, c’è silenzio, c’è luce, c’è un’aria fresca, azzurra e assolata, c’è un invito a lanciare lo sguardo lontano.
Sulla cima del Molard, 1752 m. |
Sulla cima del Molard, 1752 m. |
Tolgo le ciaspole, poso lo zaino a terra, percorro la cima piatta e innevata cercando altre prospettive.
Poi mi siedo a terra a mangiare lentamente un panino, mentre ancora guardo le montagne.
Luce, quiete, silenzio, pienezza |
È questa la sensazione, che un poco mi sorprende perché non ricordo di averla provata.
Sono arrivata, è qui dove voglio essere, dove voglio stare ora. Non desidero altro.
Osservo le montagne contro l’azzurro intenso del cielo, mastico il mio panino, sono parte di questo luogo, un elemento alla pari di neve, arbusti, nuvole, rocce.
Una mezz’ora? Di più? Di meno? Non so quanto tempo è passato quando Rob ci chiama per ripartire. Rimarrei ancora. Sto bene. Nello stesso tempo, però, mi va anche bene lasciare questo posto di quiete e bellezza e ritornare.
Quando mai mi è capitato che due opzioni opposte mi vadano altrettanto bene?
Non so che cosa significhi. Semplice contingenza? Indifferenza? Forse superamento di contrasti atavici, innati o acquisiti che siano?
Il versante che ora percorriamo è ampio e scende dolcemente. È un piacere lasciarsi calare disegnando curve a piacimento, lanciandosi per qualche passo in linea retta, andando a cercare la neve fresca per sentirne la crosta e poi la morbidezza mentre si sbriciola sotto il mio peso. Perfetta per scivolare in equilibrio.
La discesa è rapida, presto è ora di togliere le ciaspole.
Sì, sono arrivata ma continuo ad andare.
La funicolare è il nuovo traguardo?
La raggiungiamo, e non lo è, è solo un punto di passaggio. Proseguo. E ancora vado.
E continuo ad andare perché sono arrivata.
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