venerdì 9 febbraio 2024

Ciaspolata al Molard o Sui significati dell’”arrivare”

 


Ci sarà abbastanza neve per ciaspolare? L’inverno è piuttosto mite, è piovuto per due settimane, e la neve sulle montagne più basse si è sciolta.
Non sappiamo che cosa troveremo, ma partiamo comunque verso la cima del Molard, a poco più di 1700 metri di altezza.
Ho già visitato questa montagna. In primavera, si imbianca di narcisi. L’ultima volta, mi sono inoltrata tra i fiori cercando si scivolare tra gli steli per non romperli. Avrei voluto muovermi come una barca a vela e sfiorare appena le corolle, spingendomi al largo.

Ma ora è inverno, i colori sono altri.

La funicolare, mordendo i binari, ci porta a Sonloup. Niente neve a queste quote e quindi le ciaspole restano attaccate allo zaino.
Il sentiero si inerpica subito. Parto con un buon ritmo senza pensarci, nonostante sia mattino e mi servirebbe un po’ di riscaldamento. Non so perché, ma intimamente sono convinta che questa ripida salita durerà poco, come una bretella di collegamento tra la funicolare e la montagna.

Camminiamo per un po’ su una strada asfaltata, e anche questo, contrariamente al solito, non mi infastidisce.
“Sto per arrivare” mi dico inconsciamente.

Quando finalmente imbocchiamo un sentiero, la terra è compatta e spelata. Terra d’inverno, che si lascia inzuppare e asciugare continuando a dormire per recuperare le forze.


La giornata è limpida. Il lago Lemano pure sonnecchia, le catene di montagne alle sue spalle si innalzano sempre più, allontanandosi, i Dents du Midi campeggiano perentori. Io rispondo al loro spettacolo con un sussulto di quell’emozione nata un giorno passato con loro, sulla Haute Cime, e ben accudita in me.

Continuando a salire, i ciuffi verdi di erba si diradano, la terra si ricopre di steli avvizziti, una coltre bronzea lucente sotto il sole di oggi.
Il pendio si è solo un poco addolcito, senza mai spianare però, nemmeno per pochi passi.


“Saremo nella neve tra poco” annuncia Rob, indicando una macchia bianca verso la cima della montagna.
La neve compare sul nostro percorso un po’ all’improvviso, senza annunciarsi a sprazzi tra l’erba: ora riveste tutto il pendio con uno strato compatto e abbastanza omogeneo, dapprima sottile e un po’ ghiacciato.
Anche se non sono ancora indispensabili, qualcuno aggancia le ciaspole agli scarponi, io invece indosso i ramponcini perché voglio provarne la presa su questa neve fine e un po’ gelata.


Dopo pochi minuti, il terreno si chiazza di nuovo di bronzo e si insinua in un boschetto. Qui il sentiero è stretto, si fa spazio tra i rami, scavalca radici. Una donna cha sta scendendo si ferma per lasciarci il passo: “C’è neve più su, fino alla cima” ci informa gentilmente “tenete le ciaspole”.

E infatti eccola, oltre il boschetto, che si distende, ora uniforme, su tutta la montagna. I ramponcini adesso servono e, anzi, di tanto in tanto i piedi affondano e per un attimo perdo l’equilibrio. Ma decido di non usare le racchette, avanzerò così, finché mi sento abbastanza sicura.
La salita continua senza sosta, ma la prima meta della giornata è ormai ben visibile.
Cercando appoggi un po’ ghiacciati nella neve sempre più profonda, arriviamo sulla cima di Le Folly.


Montagne, lago, montagne. L’orizzonte oggi è lontano, il respiro profondo e lungo.

“Va bene se continuiamo fino al Molard?” propone Rob “Ci possiamo arrivare in tre quarti d’ora e poi faremo una pausa lassù”.
Tutti, o quasi, d’accordo. Io lo sono senz’altro, sento di non essere ancora arrivata. Ho bisogno di muovermi, di sentire la spinta dei muscoli, di spremerli. Le Folly mi regala un momento di contemplazione per ritemprare le forze emotive e fisiche e ripartire.

Osservo la neve, che ho già estesamente tastato, lungo il percorso dinanzi a noi. Meglio mettere le ciaspole ora.

Attraversiamo una macchia di bosco e sbuchiamo su un altro versante del Folly. Da lì possiamo vedere, poco più alta, la cima del Molard.

Dobbiamo ora raggiungere in discesa una stretta valle tra le due montagne e poi risalire. Rob fa strada tracciando un percorso a stretti tornanti su un pendio veramente ripido! Ho tendenza a lasciarmi scivolare verso il basso come sugli sci, ma sento di non avere pieno controllo, potrei ribaltarmi facilmente.


Superato il tratto più scosceso, rompiamo le righe, e ciascuno procede a proprio piacimento. Mi scelgo il percorso, derapando ogni tanto appena sento che la pendenza si attenua.

Il sentiero più battuto per risalire il Molard parte sulla destra della piccola valle, si inoltra tra un gruppo di alberi, poi compie un’ampia curva a sinistra per dirigersi verso la cima. Di fronte a noi, invece, una striscia bianca di neve si impenna, diretta alla cima, tra gli alberi.

“È lunga di lì” ci informa Rob indicando il sentiero di destra e rivolgendosi quindi verso l’erta.

“Saliamo di qui?!” esclama concitato qualcuno.

“Sì, non è così dura come sembra. È senz’altro meno ripida della discesa che abbiamo appena fatto. Dai!”

Non ne sono molto convinta, ma, perché no? Proviamo. “Posso sempre fermarmi ogni tre passi a tirare il fiato” penso tra me. “Che sarà mai?”

Inizio energica, i primi passi sono sciolti e sprizzano vigore. Ho acquisito un ritmo spontaneamente e avanzo. Poi, la salita comincia a farsi sentire. Il mio respiro è più breve, vorrei fermarmi a tirare il fiato, a riposare un momento.

“Ma no, aspetta”, mi dico “mantieni il ritmo ancora un poco…va, arriva fino a quei cespugli e lì ti fermi”.

È un po’ dura, ma d’accordo, continuo fino ai cespugli. Senonché, raggiuntili, vedo Brigitta ferma poco più in su, sotto un albero. “Dai, spingi fin là” la voce in me mi sprona “ancora qualche passo…”

E così, un po’ in affanno, vado avanti. Intanto Brigitta lascia l’albero, per cui, una volta raggiuntolo, la voce in me mi suggerisce un’altra idea, senza esprimerla a parole questa volta, intimidita dai miei sforzi poderosi. La recepisco però e, chissà perché, non mi oppongo. E così mi spingo ancora più su, sempre mantenendo il ritmo di partenza.

Ma perché non rallento?


Poi, per distarmi dall’affanno, mi volto un attimo a sinistra verso il cielo aperto e così intravedo il pendio del Folly da cui siamo arrivati e mi stupisco.

Un attimo di sospensione… Sì, adesso mi fermo proprio, devo vedere.

È davvero così? Voglio dire, un tale strapiombo?! Voglio vedere bene.


La discesa da le Folly dalle pendici del Molard

Mi tiro un po’ da parte e da lì lo osservo: scende a picco verso la valle, liscio di neve. Certo che era bello lasciarsi scivolare! Era quello il modo migliore per giocarci, limitatamente alle mie capacità di scivolamento.

Questa breve sosta mi basta per ritrovare energia e avviarmi con brio verso il secondo traguardo della giornata.

Non ho più bisogno di fermarmi ora, sento la fatica ma è sopportabile, posso avanzare fino alla cima del Molard.


La raggiungo tranquillamente, e come sul Folly, c’è silenzio, c’è luce, c’è un’aria fresca, azzurra e assolata, c’è un invito a lanciare lo sguardo lontano.

Sulla cima del Molard, 1752 m.
Ancora il lago da una parte, la corona di montagne dall’altra: è da quest’ultima che mi sento più attratta, forse perché è più ignota, più selvaggia, meno addomesticata, meno adulterata. Più vicino all’idea di incontaminato, di essenza originale, di verità senza fronzoli.

Sulla cima del Molard, 1752 m.

Tolgo le ciaspole, poso lo zaino a terra, percorro la cima piatta e innevata cercando altre prospettive.

Poi mi siedo a terra a mangiare lentamente un panino, mentre ancora guardo le montagne.


Luce, quiete, silenzio, pienezza
Adesso sono arrivata.

È questa la sensazione, che un poco mi sorprende perché non ricordo di averla provata.
Sono arrivata, è qui dove voglio essere, dove voglio stare ora. Non desidero altro.

Osservo le montagne contro l’azzurro intenso del cielo, mastico il mio panino, sono parte di questo luogo, un elemento alla pari di neve, arbusti, nuvole, rocce.

Una mezz’ora? Di più? Di meno? Non so quanto tempo è passato quando Rob ci chiama per ripartire. Rimarrei ancora. Sto bene. Nello stesso tempo, però, mi va anche bene lasciare questo posto di quiete e bellezza e ritornare.

Quando mai mi è capitato che due opzioni opposte mi vadano altrettanto bene?
Non so che cosa significhi. Semplice contingenza? Indifferenza? Forse superamento di contrasti atavici, innati o acquisiti che siano?


Il versante che ora percorriamo è ampio e scende dolcemente. È un piacere lasciarsi calare disegnando curve a piacimento, lanciandosi per qualche passo in linea retta, andando a cercare la neve fresca per sentirne la crosta e poi la morbidezza mentre si sbriciola sotto il mio peso. Perfetta per scivolare in equilibrio.


La discesa è rapida, presto è ora di togliere le ciaspole.


Sì, sono arrivata ma continuo ad andare.

La funicolare è il nuovo traguardo?

La raggiungiamo, e non lo è, è solo un punto di passaggio. Proseguo. E ancora vado.


E continuo ad andare perché sono arrivata.


Molard, tempo di narcisi

Dents du Midi



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