lunedì 3 luglio 2023

Traversata della Dent d'Oche

 


Un po’ a rilento, raggiungiamo in auto il piazzale della Fétiuère, il ristorante dal nome per me quasi impronunciabile da dove parte il sentiero per la Dent d’Oche.

Non lo sapevamo, ma oggi si disputa la corsa della Dent d’Oche, 1200 metri di dislivello positivo su 7 chilometri. L’andatura sull’ultimo tratto di strada che sale al piazzale del ristorante è regolata dagli ultimi due partecipanti che camminano a bordo strada, certo senza affannarsi, seguiti da un’auto dell’organizzazione. Non si capisce perché, ma non li si può superare, e così si forma una lunga fila di vetture arrancanti.
Decidiamo di posteggiare alla prima occasione sul bordo della strada e di proseguire a piedi per gli ultimi 500 metri fino alla Fétiuère.
Ci troviamo a poca distanza dalla sponda francese del lago Lemano, una quindicina di chilometri a sud di Évian.
Due sentieri partono da qui: uno, appena prima del piazzale del ristorante, sale più gradatamente, allungandosi nel bosco fino a incontrare il secondo, che aprendosi proprio a fianco della Fétiuère, si inerpica subito abbastanza ripido. Prendiamo il secondo.
Percorriamo per un buon tratto la foresta, confortati nella salita dalla frescura del mattino all’ombra degli alberi. Poi sbuchiamo su un alpeggio verde e fiorito, che lascia spaziare lo sguardo fino alle prime cime rocciose.


Sbucati dal bosco, si continua verso le rocce

Da qui la Dent d’Oche ancora non si vede, nascosta com’è dietro altre montagne.
Continuiamo fiduciosi, mentre gli alberi si diradano via via che saliamo.



Raggiungiamo gli chalets d’Oche a poco più di 1600 metri di altitudine. Qui c’è un punto di ristoro per i corridori, la maggior parte dei quali ha già finito la corsa ed è rientrata.
Altri però stanno ancora scendendo, e alcuni sono qui a bere qualcosa e probabilmente a ripercorrere il tragitto e a ricordare le sensazioni della corsa, ormai rilassati e sodisfatti. Veniamo a sapere che il più veloce ha impiegato poco più di 51 minuti per completare la salita…!


Anche noi facciamo solo una breve sosta. Mi guardo attorno, prendo coscienza del luogo. Poi riprendiamo il sentiero tra i fiori.
La giornata è soleggiata e serena, e il panorama sulle montagne dello Chablais e, più a sud, fino al Monte Bianco si dispiega appena velato, a sipario aperto.

Il Monte Bianco, mentre saliamo
Tranquillamente ci avviciniamo alle prime rocce, percorrendo un tratto di pietre e sassi. Arriviamo così a un canalone, che, ripido e stretto nella prima parte, si allarga, per poi tornare a restringersi e a impennarsi un poco. Ci sono delle catene a cui aggrapparsi e, nella parte più ripida, dei ferri piantati nella roccia come gradini o appigli, sicuramente utili se l’ampiezza del passo non è sufficiente per raggiungere il successivo appoggio naturale.

All'imbocco del canalone


Questa piccola arrampicata è divertente. Le rocce sono oggi ben salde, e non si rischiano cadute di pietre smosse da chi precede.
Il cammino continua tra sbalzi di roccia e tratti di sassi più piccoli.
I due amici davanti a me chiacchierano di tanto in tanto di argomenti estranei alla montagna e a questa circostanza in cui ci troviamo, e io non capisco come possano farlo: come possono averne il fiato e, soprattutto, come possono mantenere l’attenzione in questo passaggio delicato? E poi, non si sono anche loro già distaccati dal mondo abituale a quote più basse, entrando in quello stato calmo di commistione con la pietra, la terra, il calore assolato dell’aria, quello stato di presenza cosciente al di fuori dello scandire del tempo?
Sono un elemento di disturbo! In realtà, questo non mi irrita, ma semplicemente non posso fare a meno di notarlo.
Spinta dopo spinta, arriviamo al rifugio della Dent d’Oche, incastonato sul fianco della parete rocciosa a 2114 metri.

L'ultimo tratto prima del rifugio a 2114 metri
Non ci fermiamo. Bello sarebbe passare una notte qui e risvegliarsi all’alba. Quiete totale mi immagino nella notte, cielo nero, spazio infinito da navigare con lo spirito, di stella in stella.
Ma ci lasciamo scivolare nella strettoia dietro il rifugio e continuiamo a salire.
Da qui riparte un sentiero che presto raggiunge un nuovo passaggio roccioso per serpeggiare tra le pietre fino a una cima. Penso che sia finalmente la Dent d’Oche, contrassegnata com’è da una croce.

L'anticima con la croce
Verso l'anticima

Con ritrovato slancio, percorro la breve cresta fino al traguardo. Appena il tempo di dare un’occhiata alla croce, che Vasee mi avvisa: “La Dent d’Oche è laggiù, dai, manca poco…”

Infatti questa non è che un anticima, anche se non capisco perché qui ci sia una croce, mentre nulla indichi la cima principale.
C’è ancora un tratto di cresta da superare, ma il vero traguardo è ora ben visibile e sempre più vicino, il che rende ancora più piacevole questa salita finale.

Percorso in cresta verso la cima della Dent d'Oche
Il panorama dalla vetta è impressionante: da una parte il lago Lemano nella sua totalità, da Villeneuve a Ginevra, Vevey e Montreux di fronte a noi, e poi, girando su di me, picchi, pareti verticali, vallate, sentieri…

Sulla vetta della Dent d'Oche, 2221 metri. Il lago Lemano, l'anticima
Sulla Dent d'Oche. Grammont, Jumelles (le due punte che "si guardano"), Château d'Oche…
Riconosco lo Château d’Oche, il Grammont, le Jumelles, le Cornettes de Bise, le Dents du Midi e poi in fondo le vette alpine più alte.
Ci fermiamo sulla cima a mangiare qualcosa. Mi siedo rivolta al lago e alle Jumelles dal profilo accattivante. Conosco il Grammont e le Dents du Midi, e l’osservarli riaccende le immagini e le sensazioni legate alla loro salita, come fosse la proiezione di fotografie e video recuperati da un archivio. Mi stupisco un po’ di come le immagini e i ricordi siano nitidi, ad alta definizione… il tempo trascorso dalla loro registrazione non li ha ancora offuscati.

Alcuni gracchi alpini ci svolazzano attorno e poi zampettano a distanza di sicurezza da noi alla ricerca di briciole. Li avevo identificati come merli per il loro piumaggio nero e il becco giallo, sebbene i merli siano più piccoli e fossi dubbiosa che possano arrivare a queste quote. Ho un debole per i merli, per il loro aspetto lustro e il loro canto risonante dalle molteplici modulazioni.
Ci sono anche un paio di stambecchi che si aggirano tra le rocce. Qualcuno dice che sono femmine dato che hanno corna corte. Sono abbastanza addomesticati, sono attenti ma non intimoriti da noi.

Ci soffermiamo in cima forse un po’ troppo a lungo, considerato che la discesa e il rientro richiederanno ancora molta attenzione e abbastanza tempo. Ma la giornata è bella, e il luogo facilita l’oblio di quanto sta in basso, di materiale e di emotivo.
Quando finalmente decidiamo di muoverci, abbordiamo la discesa lungo il versante opposto a quello lungo cui siamo saliti.
Il cammino è da subito roccioso e scosceso, e le catene sono un valido supporto per superare i passaggi più impervi. Tante pietre sono lisce e lucide, levigate dagli innumerevoli scarponi che le hanno calcate, e sono quindi scivolose. Anche in questo caso, le catene aiutano a sorreggersi mentre le si testano con cautela, se non si possono evitare.

Sulla via del ritorno, sul versant opposto
Il percorso tra rocce, lastre, strettoie continua per almeno un’ora. Di certo non ci si annoia! Cerco di mantenere alta la mia attenzione e di rallentare quando le gambe tenderebbero a saltare da una pietra all’altra o ad avviare una breve derapata se il terreno diventa a un tratto ghiaioso. Qui non è permesso cadere.
Come all’andata, i due amici davanti a me chiacchierano spesso e, di nuovo, io vorrei che stessero in silenzio.


Poi le rocce cominciano a diluirsi tra sassi più piccoli e chiazze d’erba. Un sentiero di terra sembra affiorare a poco a poco fino a definirsi, ben delimitato nel prato, e a snodarsi nella vallata.
La parte più insidiosa è terminata, posso rilassarmi un poco, senza però abbassare la guardia.


Vasee propone di risalire un pendio e di raggiungere il punto di partenza camminando in cresta. Penso che sarebbe molto bello, ma il pomeriggio sta per finire e con esso le energie. Ci limitiamo allora a raggiungere un laghetto, il Lac de la Case. In realtà qui ce ne sarebbero due di laghetti, ma uno è prosciugato e ricoperto d’erba, l’altro, poco profondo, è verde, probabilmente per la vegetazione che cresce sul suo basso fondale e il riflesso degli alberi che vi si specchiano. Dall’alto non mi ero nemmeno accorta che fosse un lago!
Restiamo un poco sulle sue sponde, ancora a respirare la giornata e questo mondo.

Ripartiamo quindi per l’ultimo tratto di cammino, raggiungiamo gli chalets d’Oche e poi giù, lungo un sentiero che ora mi appare noioso e interminabile, penetriamo nel bosco. Quando sento il rumore di un’auto, capisco con sollievo che siamo quasi arrivati: infatti, in pochi minuti eccoci sulla strada accanto al piazzale da cui siamo partiti.
Ora sento di avere un’altra montagna dentro di me.





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