giovedì 16 ottobre 2014

Uluru – Ayers Rock – e i giochi con il sole


Sono nel cuore dell’Australia, nel mezzo dell’outback polveroso con i suoi arbusti ostinati capaci di proteggere quei rivoli di linfa che sono la loro anima con la naturale tenacia della vita che si modella agli eventi.


Uluru - Ayers Rock nella denominazione non aborigena – ha una storia affascinante, nato dalle montagne e dal mare, come un eroe mitologico.

È fatto di sabbia che vento e acqua hanno sfregato oltre 500 milioni di anni fa da monti primordiali e che poi il mare a sorpresa ha sommerso adagiandovisi con tutto il suo peso fino a renderla pietra. Quindi, prosciugato anche il mare, la terra ha preso a contorcersi, sollevando e inclinando quel blocco di sabbia indurita senza spezzarlo. E di nuovo il cielo
per i successivi 300 milioni di anni l’ha plasmato, scanalandolo, scavando grotte, colorandolo di ferro rosso.


Per gli Aborigeni della zona, gli Anangu, sono stati invece gli spiriti ancestrali con le loro battaglie nel tempo del sogno che hanno forgiato Uluru. Qui ancora dimorano gli spiriti degli antenati creatori e degli animali – emu, serpenti, lucertole, cani selvatici… – che con loro hanno percorso e tramutato questa terra. Questa terra è sacra.


Ci avviamo in fuoristrada nell’outback, terra piatta a destra, a sinistra, davanti e dietro di noi e una sola sporgenza ancora lontana e piccola, ma che emerge e si staglia ben definita su quella terra appena increspata.
Arriviamo per il tramonto perché vogliamo vedere Uluru accendersi di fuoco.


Imbocco un sentiero alla ricerca di un punto di osservazione. Lo spazio è tanto, la gente dispersa così da sembrare poca. Mi fermo a guardare.


Un Giapponese vicino a me scatta catene di foto, io, il mio sguardo fisso su Uluru, non ho ancora colto variazioni di sfumature negli ultimi dieci minuti da che il sole ha cominciato a calare.
Resto in attesa dell’esplosione di luce che mi sono immaginata, il sole intanto tocca la linea dell’orizzonte e comincia ad affondarvici, sempre più velocemente. Ecco, Uluru comincia a virare al rosso intenso per qualche secondo, io continuo a guardare bramosa di essere stupita, poi di botto s’incupisce anziché accendersi.
I raggi del sole si stanno ormai appiattendo, poi in fretta scompaiono.

Kata Tyuta al tramonto
 


Dietro di me Kata Tjuta - le Olgas - rocce sorelle di Uluru, risaltano con le loro morbide forme ora nere contro il cielo aranciato. 





Ci riproviamo con l’alba.
Arriviamo in tempo per seguire secondo per secondo i raggi del sole mentre lambiscono Uluru, accendendone il rosso annerito della semioscurità di un giallo-arancio ma immediatamente illuminandolo del suo arancione deciso. È appena l’alba, ma Uluru mi si presenta già come l’ho visto ieri per la prima volta, in pieno sole.


Niente fiammeggiamenti dunque, né al tramonto, né all’alba. Forse dipende dalla consistenza dell’aria, dall’umidità, dalle nuvole che mettono il cielo in subbuglio creando ombre e chiaroscuri.



Uluru resta comunque solenne. Naturalmente vorrei arrampicarmici per conoscerlo da vicino e si può fare, c’è un percorso tracciato. Ma agli Aborigeni non piace vedere la gente scorrazzare su e giù per la loro montagna sacra.

“Quando ero piccolo mi divertivo ad andare su Uluru con i miei amici Aborigeni!” mi dice l’Australiano importato Robert di Alice Spring, “ In realtà neanche agli Aborigeni importa più…”

Ma i suoi occhi acquosi affettatamente spalancati non mi convincono, trasudano falsità.

Allora resto ai piedi di Uluru e faccio il giro tutt’attorno alla sua base per quei nove chilometri, osservando graffiti e scrutando grotte, rispettosa, in omaggio alla sacralità della vita.






Nessun commento:

Posta un commento

Modulo di contatto

Nome

Email *

Messaggio *