L'Ararat, 5137 metri, come mi appare da Eliköy |
L’ Ararat (Ağri Daği) siede al limite orientale della Turchia, dove
questa si incontra con Armenia e Iran.
Montagna antica e
saggia, parla instancabilmente alle sue genti senza essere ascoltata da chi ne
disegna i destini pur non intendendosi di umanità.
In pulmino da Dogubayazit ci inoltriamo lungo una
strada sterrata tra casolari di pastori e greggi. Qualche bambino dal viso
arrossato gioca tra l’erba e i sassi.
A Eliköy carichiamo lo zaino sulle spalle e le tende e
vettovaglie sui cavalli e poi, gli occhi volti a est e levati un poco al cielo,
ci presentiamo e lo ammiriamo. Cono vulcanico, pendici di lava che più in alto si
mischia al ghiaccio.
Partenza da Eliköy |
Accampamenti di pastori sulle pendici piu' basse |
Yosuf ci guida tra i cespugli di cardi – o qualcosa di
simile dai rari boccioli rosa. Il carattere primitivo dell’Ararat già nei suoi
bassi pendii mi tranquillizza e sgombra la mia mente che dai primi passi
respira serena.
Meno di tre ore di camminata libera per arrivare al
primo campo a 3'300 metri.
Qui è quasi una folla e un cicaleccio costante di
gruppi che si apprestano a salire o a ritornare e che si godono l’aria via via
più pungente e cristallina della sera che cala. Poi il cielo si copre e scarica
su tutti un po’ di grandine tra goccioloni d’acqua, ma solo per qualche minuto.
Al campo 1, 3300 metri |
Partiamo il giorno dopo per il campo 2 a 4'200 metri
di quota.
Ora è una salita non troppo ripida tra le rocce
laviche con una sosta al bar Ararat, come annuncia un cartello scritto a mano,
uno spiazzo delimitato da un muretto a secco, ideale per una pausa, dove un
paio di uomini vendono a chi passa bibite e birra tenute al fresco in un
cestino termico riempito di ghiaccio.
Al "bar Ararat" |
Cammino tranquilla e distesa nel paesaggio senza
stanchezza alcuna se non una lieve debolezza verso i 3'800 metri.
Verso il campo 2 |
Al campo 2 sostiamo per acclimatarci, ma rientreremo a
quello più basso per la notte.
Questo campo in quota è come un fazzoletto raggrinzito
sul fianco dell’Ararat: una scacchiera di piccole piazzuole tra i sassi ed è
lì, in quei riquadri in semipendenza che sono piantate le tende, quasi una
addosso all’altra.
Tende tra le rocce del campo 2, 4200 metri |
L’ Ararat, una cresta e il piccolo Ararat circondano da
un lato questo nugolo di uomini e animali, che domani sarà diverso ma pur
sempre uguale.
Il piccolo Ararat sullo sfondo del campo 2 |
Il ritorno al campo alto il giorno seguente si carica
presto della tensione dell’attesa per l’uscita notturna verso la cima.
Facciamo passare parte del pomeriggio e la
sera montando le tende nei quadrati di terra e pietruzze; poi per me è un
andirivieni tra la mia tenda, quella comune, le rocce al limite del campo ad
osservare le montagne e a scrutare il cielo cercando turbolenze in arrivo o
calma serena.
… Che mi aspettavo? Un segno bonario per tranquillizzarmi? Sento un po’ d’ansia, la paura della ritirata su un pendio ampiamente alla mia portata che mi negherebbe la gioia dello scoprire questa montagna fino alla sua cima.
Al campo 2 il giorno prima della salita alla cima |
Nella tenda il riposo prima della partenza notturna è agitato e nutre dubbi e malessere. Provo a dormire.
1.10: mi sveglio dopo un breve sonno e mi
preparo.
1.30: mi sforzo a masticare un biscotto
deglutendolo con un po’ di tè, lo stomaco brucia.
2.30: partenza.Non c’è sentiero, attraversiamo il campo alla luce delle lampade frontali e avanziamo tra le rocce. Ripido, ma è bello muoversi così, tastando con mani e piedi per trovare il passaggio.
Salendo di quota arriva il freddo che, contrastato dai miei muscoli in piena azione, va a ad attaccare lo stomaco e vi attecchisce cominciando a fissarlo come sotto strati di cristalli ghiacciati che crescono l’uno sull’altro. Mi fermo un istante per avvolgerlo in una maglia calda e proteggerlo.
L'ombra dell'Ararat all'alba durante la salita alla cima |
Mi concentro sul ritmo dei miei passi e sul mio corpo proteso armoniosamente nello sforzo in avanti.
La salita continua senza piani fino al ghiacciaio. La mente resta salda nel non pensare.
Il ghiacciaio e in fondo la salita finale all'Ararat |
Continuo ora più convinta e la mia mente si risveglia alla sensazione dei ramponi che mordono la crosta di ghiaccio.
La pendenza è diminuita, il sole sta sorgendo, mi sento forte e viva e scivolo sul ghiacciaio avvicinandomi entusiasta al cocuzzolo dell’Ararat.
È proprio un cocuzzolo: la montagna si staglia davanti a tutto assottigliandosi in una cima rotonda, come un copricapo che calza morbido la sua sommità.
Percorro con gioia il tratto sulla neve, inizialmente sorpresa da come il mio passo si sia spontaneamente animato, e arrivo di slancio in vetta.
Sulla cima dell'Ararat, 5137 metri, il piccolo Ararat sullo sfondo |
Guardando il ghiacciaio dalla cima dell'Ararat mentre sorge il sole |
La sosta oltre i 5'000 metri è breve.
Ritorniamo sui nostri passi per riguadagnare il campo 2.
La discesa verso il campo 2 |
Stasera da lì rimirerò l’Ararat con occhi diversi.
L'arca di Noé
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