venerdì 25 marzo 2016

Nel ventre del ghiacciaio

Il ghiacciaio di Zinal
Di neve ce n’è, strato su strato come panna montata depositata a spirali e ghirigori attraverso un beccuccio frastagliato.

Cristallizzata dal freddo, dal sole e dal freddo, come una manciata di zucchero fine che ora rimanda la luce suddivisa in una miriade di raggi fini che si incrociano e ripartono a ventaglio.


L’acqua si fa spazio tra sottili lastre trasparenti di ghiaccio a unire il suo tintinnio ai fischi isolati che di tanto in tanto bucano il cielo.

È talmente compatta la neve che non servono le racchette: le lascio fissate allo zaino e cammino sul sentiero battuto.

Ci inoltriamo in una valle stretta e curva, seguendo il sentiero e una fila di orme. Altre percorrono i dossi e le rocce innevate lungo circuiti pregni di perché, che non arrivo però a conoscere osservando da lontano.
E se li seguissi, riuscirei a comprendere?!
Nel silenzio dei piani ragionati, ascoltando, probabilmente sì.

Fino alla fine del sentiero, tra il crocchiare della neve, passando nella gola in mezzo a due montagne, una curva e un breve pendio: qui arriva il ghiacciaio.

Sembra una colata di neve indurita apparentemente immobile ma lentissimamente avanzante, lì per lì per lambire il bordo del sentiero ed accorparlo.
In realtà i ghiacciai, la maggior parte e pure lui, si ritraggono...

Ma solleva una falda rivelando un interno azzurrino venato di sfumature e chiazzato di conche, e un cunicolo.

Mi sposto sui sassi fino a blocchi di ghiaccio che scivolano sotto i miei polpastrelli insensibili, poi, frontale accesa, proseguo sotto la coperta gelata.

Seguo dapprima un rivolo d’acqua, camminando accucciata sulla punta dei piedi, poi il soffitto si abbassa e sfilaccia in frange di ghiaccio. Vado avanti su mani e ginocchia verso un cuneo di luce e, raggiuntolo, il passaggio si allarga in una grotta.

Qui tutto è ghiaccio, anche il fondo su cui mi siedo e mi lascio scivolare sollevando le gambe come un disco da hockey.


Luce azzurrognola che ora richiama verso la parete opposta della grotta dove il passaggio si insinua in un tunnel e sale.

 
Lo percorro tutto e sbuco sopra la coltre gelata.
Poi, lungo lo stesso percorso, ridiscendo nella grotta ad esplorare anfratti. Strettoie, colonne, vani, slarghi di pietra e di ghiacchio, come una casa che cambia al muoversi di chi ci vive, al suo fluttuar d’umore.

Ospite affabile oggi.
Mi rifaccio strada verso il corridoio ghiacciato e il ruscello, sbucando di nuovo sotto i lembi azzurrini.






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