domenica 20 settembre 2015

L'arte, la Biennale di Venezia e io

"De sidere, desiderare, desire... e quindi uscimmo a riveder le stelle" vetrata nel padiglione australiano che sintetizza con finezza la bellezza di un verso poetico e di un aspetto del mondo naturale trasmettendone con immediatezza il messaggio eterno

L'arte ha la scopo di trasmettere un messaggio, di sorprendere. Di provocare e di suscitare emozioni, piacevoli o sgradevoli che siano.
Così pare, ma non per me. Naïve dell'arte quale sono, cerco in essa intuitiva bellezza.


L'opera d'arte deve fermare il mio sguardo e ammaliarmi, tacitare ogni pensiero e farmi fluttuare in una sensazione di benessere, appagamento, meraviglia e piacere. Così bellezza mi circonda e bellezza mi sostiene, rianimata in me per risonanza.


Stupenda la Biennale di Venezia, come idea. Mi ha intrattenuta parecchio e affascinata poco.

Wrong Way Time”, Fiona Hall, Australia; parte di un’enorme collezione degli oggetti più diversi per rappresentare l’approccio manipolativo dell’uomo nei confronti della natura e dell’ambiente; uno dei tanti esempi presenti a questa edizione della Biennale della mania di "accatastare"


Con la mia sensibilità ingenua dico che i suoi artisti o non hanno niente da esprimere o non sanno farlo.
Sì, ignoranza può condurre ad arroganza, ma non sentenzio, solo constato ed esprimo una personale opinione.

“rêvolutions, transHumuS”, Céleste Boursier-Mougenot, Francia; il pino silvestre si muove nella stanza grazie a una tecnologia che traduce certe sue caratteristiche fisiche - come la vita che lo percorre e il differenziale elettrico tra l’albero e la terra – in movimento. Creando queste connessioni inedite tra natura e tecnologia e in generale tra natura e cultura, si raggiunge un nuovo stato di natura che potrà realizzare le “rêvolutions”, un nuovo progresso umano, consapevole dell’ambiente naturale, misto di rivoluzione e sogno (rêve). La Natura al servizio dell’uomo tecnologico anziché la ricerca della simbiosi e del ricongiungimento tra Natura e uomo nella sua totalità di ragione e emotività
 
Tanti messaggi da voler trasmettere: sulla guerra, l'immigrazione, l'economia sostenibile, il nostro bisogno di comunicare ed essere connessi, l'influenza del passato sul presente, la finezza e finitezza dell'esistenza umana.

Un “Parlamento delle Forme” per rappresentare tutti i futuri del mondo, “All the World’s Futures”, orientandosi nella miriade frastornante di possibilità attraverso gli spunti preferiti di Okwi Enwenzor, il curatore di questa edizione, (Vitalità: sulla Durata Epica, Giardino del Disordine, Capitale: una Lettura dal Vivo) e realizzare la sua visione.

E tanti lavori prolissi e ragionati che svolgono il tema alla ricerca disperata di originalità, senza lasciare che essa affiori spontaneamente.

“Sustainable Identities”, Szilárd Cseke , Ungheria; delle sfere bianche rotolano, incrociandosi, all’interno di tubi trasparenti lungo le pareti e il soffitto del padiglione: libere di scivolare avanti e indietro, ma solo entro quei percorsi definiti dai tubi che lasciano intravedere il mondo fuori e danno l’illusione di interagire con le altre sfere nelle loro realtà, ma in effetti non lo permettono. Le identità di ciascuno di noi sono determinate dall’ambiente naturale e sociale e solo entro questi confini sono sostenibili. Concetto interessante ma est modus in rebus!

“Global Myopia” Marco Maggi, Uruguay; sembrano circuiti elettronici e ricordano piante di città o di case. Lo scopo non è di denunciare la miopia del mondo che non sa bene dove sta andando, ma di stimolare l’attenzione per i dettagli e l’insignificante. Per me il risultato è invece di banalizzare la bellezza che si può in effetti trovare nelle miniature di un vero circuito elettronico




 








Ma non può affiorare ciò che è imprigionato dalla logica di un piano calcolato, o che forse addirittura non c'è.


“Out of Bounds”, Ibrahim Mahama, Ghana; Sacchi di iuta tappezzano le pareti del lungo corridoio all’Arsenale, a raccontare il lavoro delle persone che li hanno maneggiati dall’India, in cui sono stati confezionati, al Ghana, dove sono stati riempiti in genere di carbone, ai porti, mercati, città dove sono stati trasportati. Così strappati, scarabocchiati, ritorti, assomigliano a quelle persone, al loro lavoro mal pagato e alle loro vite ardue. Denuncia giusta che può essere espressa attraverso l’arte ma, se si vuole impressionare davvero, con genialità. Non colgo genialità in sacchi di iuta logori che hanno solo abbruttito quel vicolo dell’Arsenale e reso sgradevole il passaggio ai padiglioni, incapaci di trasmettere il messaggio che recavano
Certo, con un intero padiglione a disposizione per esprimersi, un artista spesso non riesce a trattenere la propria creatività erompente e tende perciò ad allargarsi, a riempire lo spazio. Ma è questo il punto: estratta l'essenza del messaggio, colui che per me è artista vero non la dissimula di nuovo nella complessità caotica, né la proclama vistosamente come dimostrazione chiassosa e inequivocabile del proprio genio.

“Rapture”, Camille Norment, Norvegia; nell’ampio spazio disadorno del padiglione nordico degli altoparlanti rilasciano suoni indefiniti appena sussurrati, come quelli che si possono sentire nella natura, in un bosco, su una spiaggia, alternati a respiri; e allora? Per una tale esperienza sensoriale – di “rapture” appunto, di rapimento estatico, me ne vado direttamente tra gli alberi o le onde, di certo non tra quattro mura spoglie di cemento

Distilla la bellezza nel tuo modo unico, colpiscimi e commuovimi.



Nel Giardino del Disordine io cercherei un passaggio raccogliendo sussulti di ammirazione e gioia per farli poi emergere in una miscela nuova, bellezza che fiorisce sul caos.


No, non mi basterebbe riprodurre scompiglio e turbamento, anche se lo sapessi fare bene, con un’agile creatività che può illuminare ogni sfacelo e farlo illusoriamente risplendere.

“Aggregate”, sculture di Walead Beshty, aiuole dei Giardini; il disordine sembra risplendere a una prima occhiata, ma è solo illusione
“Aggregate”, Walead Beshty, Padiglione Centrale, disordine e decadimento
 
C'è bellezza in una stanza disordinata e traboccante di oggetti, quella della vita umana che la abita: ma che senso ha ricreare quella stanza tale e quale qui in un padiglione della Biennale? Casa mia ha la stessa intensità!


“Canadissimo”, BGL (Jasmin Bilodeau, Sébastien Giguère e Nicolas Lavardière), Canada; si sono messi in tre per ammassare cose nella stanza del padiglione canadese con il beneplacito entusiasta della curatrice Marie Fraser. “Per invitarci a vedere gli oggetti in modo diverso e sensibilizzarci sul consumismo” mi spiega il ragazzo di turno al padiglione, illustrandomi in confacenti termini pedestri la banalità dell’opera

Sintetizzami quella bellezza in una breve composizione di forme, colori, suoni, in un simbolo pulsante.


Il bisogno vitale e ancor più umano di comunicare e interagire tra di noi: due barche provate dai mari che si intravedono in una cascata di chiavi. Chiavi raccolte per il mondo che davvero hanno regolato gli spazi di qualcuno e sono in qualche modo impregnate di storie e di memorie.
 
 
Il discorso è chiaro: le barche percorrono distanze, le chiavi aprono porte, entrambe uniscono persone e idee. Ma la trovata è fin troppo ovvia, la realizzazione ben troppo ingombrante.

“The key in the hand”, Chiharu Shiota, Giappone

Sintetizza il senso di questo tema eterno con leggerezza, originalità e grazia: ad altri è già riuscito, a qualcuno con semplicità sopraffina, sublimando il messaggio in bellezza.


“Creazione di Adamo”, Michelangelo, Cappella Sistina


Così mi dici tutto e m’incanti.


Ma tra una chiacchiera e l'altra, tra una dichiarazione e l'altra che non mi hanno trattenuta, la bellezza si è insinuata, mi ha preso una mano e mi ha tirata a sé.

“Darwin and the Satyr”, Adrian Ghenie, Romania

“The Storm”, Adrian Ghenie, Romania

Al di là del messaggio che portava e che ho ascoltato, ne ho intuito immediatamente la danza irresistibile e, affascinata, mi sono lasciata avviluppare in un esuberante pas de deux.

www.labiennale.org 


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