sabato 14 marzo 2015

Costa Rica - grondante come la foresta pluviale


Sono diventata un elemento della foresta pluviale. In pochi minuti, mi è bastato entrarci, muovere qualche passo pieno di eccitazione e curiosità su quel terreno morbido e intricato, tra tronchi erbosi e rami penzolanti che si calano su di me da grovigli di foglie che non posso discernere.
Non posso schivarli, fronde, liane, fuscelli in varie fogge, formano una rete a maglie mobili che si aprono come, avanzando, le tocco con il mio corpo.

La foresta è totalizzante da subito, ti richiude in sé, ti sfiora, richiama, attira, monopolizza la tua attenzione, così tutto quello che esiste al di fuori cade nell’oblio.

Passo tra felci gigantesche, tasto foglie carnose, mi tendo ad annusare fiori multiformi dai colori vividi, eccomi pronta a cascarci nella trappola di tutti questi richiami.

… Insetti, insetti dappertutto, mimetizzati sulle foglie e sui rami, striscianti, saltellanti, guizzanti...

Ho paura degli insetti!
Ma mi sto trasfigurando, mentre tocco, osservo, ascolto, odoro…

Steve, la guida di origine imprecisata, mi conduce nel folto di questo mistero verde-umido. Cammina lento e sicuro, quasi molleggiandosi perché ha tutto sotto controllo e perché sa il fatto suo.

Qui è anche lui un pezzo di foresta, lo intravedo nel suo sguardo che a stento riesce ancora a mantenere umano e che rivela la sua natura più selvaggia: qui Steve è un giaguaro, agile e scaltro non riesci mai a vederlo, ma lo intuisci con certezza agitata.
Poi fuori di qui si tramuta ancora e, qualsiasi aspetto prenda, resta il fulcro dell’ambiente. O così fa sembrare, perché almeno entro certi limiti comuni ai più, nulla lo turba.

Steve-Giaguaro con occhi stupefacentemente indecifrabili mi mostra una cavalletta della foresta
“Pimp it up!” mi intima, forse intravedendo un abbozzo della mia trasfigurazione. Se ti trasformi fallo bene.


Torno a incollare gli occhi al verde avviluppante, poi sento uno scroscio: la pioggia improvvisa, che sbatte sulle foglie decine di metri sopra la mia testa e poi filtra giù nella sua potenza torrenziale e mi avvolge inzuppandomi i capelli e i vestiti, riempiendomi gli occhi, affogandomi i piedi nelle scarpe perché gli stivali non li ho, imbevendo ogni mio poro.
Acqua tiepida che ora mi fa brillare sotto quella poca luce che trapassa l’intrico di piante, anch’io come una grande foglia o un insetto rilucente.


Sguazzo nelle pozze di fango incapace ormai di evitarle, seguo ammaliata i luccichii delle gocce d’acqua, cerco in alto tra i rami l’uccello che fischia sopra di me, poi più a destra, poi in basso, poi da ogni parte.
Niente. Vedo solo due bradipi abbrancati a un ramo, immobili, gli occhietti tondi fissi sulla foresta, vedono tutto e non fiatano.

Strizzo la maglietta mentre un altro scroscio si abbatte sulla cupola verde sopra di me e immancabilmente rotola giù e mi inonda.
Schizzo acqua sotto i miei passi, inondo a mia volta un bruco che si finge un rametto giallognolo, scuoto le braccia liberando una doccia che flette fluente le felci ai miei piedi.


L’acqua mi cola dal viso lungo il collo, istintivamente con una mano faccio per asciugarmi le labbra e me ne verso un altro fiotto sul petto.
Bagnata fradicia, potrei essere su un fondale marino e scivolare come un pesce tra coralli e molluschi.
Ma qui è ancora dominio dell’aria e respirando a pieni polmoni mi muovo grondante come un qualsiasi animale della foresta pluviale tra animali e piante grondanti.


“Pimp it up!” mi ricorda Steve-Giaguaro, accompagnando il suo monito con una mossa elegante delle braccia, con pollici e indici tesi come un danzatore alla fine di una piroetta.

I suoi occhi calmi di quel nonsoché che anche glieli inietta di rosso, più che incitare divertono. Mi diverte lui per l’improbabilità del suo ruolo e la sua padronanza.
Così è se vi pare, l’importante è essere convinti e non farsi sbattere qua e là dalle sedicenti “scuole di pensiero”.


Pimp it up!
Ma seguo Steve-Giaguaro che mi svela la foresta, ancora avvinta dalla quell’intensità fisica in tutte le tonalità di verde e ancora totalmente grondante d’acqua.

Quest’acqua che rimane su di me e non si asciuga nell’umidità compatta mi lega fisicamente alla foresta e sento che è questo contatto viscerale che può trasmutarmi.
Forse funziona così anche per Steve-Giaguaro che per ora però mantiene sembianze umane, sempre in controllo della situazione.

Io sento invece che potrei forse produrre una radice e succhiare il terreno. Oppure, fedele alla mia innata empatia con certi felini, potrei aggrapparmi a un tronco, salirlo agilmente e abbrancarmi vicino al bradipo. Poi potrei scattare da lì con un balzo inaspettato su un ramo più in alto, improvvisa come la campana di quel fiore che imprevedibilmente si è richiusa su qualcosa che le svolazzava appresso e poi è ritornata impassibile.


Me ne rendo conto: la mia pelle è intrisa e al tatto è scivolosa e quasi fluida, il mio corpo sembra più flessibile e ho ad un tratto l’impressione che possa inarcarsi e allungarsi e ripiegarsi, forse mi sto liquefacendo, mi sto scindendo nella miscela primordiale che costituisce la mia essenza per poi ricompormi in un’altra forma perfettamente adattata alla foresta.


Inquietante o semplicemente naturale?



….. Libertà?


Ancora colo dall’ultimo rovescio di pioggia che già un altro fragore richiama le mie facoltà consuete e vedo un altro sgorgo ricadere su di me e due secondi dopo lo sento scorrermi addosso ingordo e implacabile.



Realizzo convinta: non qui ora, libertà altrove.


Completamente inzuppata di nuovo, cerco gli occhi ondeggianti di Steve-Giaguaro che vorrebbero ora spiccare il volo tra i rami, un ammicco reciproco di intesa, poi mi volto, torno sui miei passi e, lucida e determinata, cerco di uscire il più veloce possibile.



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