martedì 25 novembre 2014

Gran Paradiso



Prima tappa: Rifugio Vittorio Emanuele II. Partiamo da Pont, prendendo il sentiero dietro il parcheggio che sale nel bosco. È una giornata estiva piena di sole, una di quelle giornate chiare e senza afa, non troppo calde, luminose e vibranti. Respiro il sole e lo sento avvolgente sulla pelle, i miei passi sono elastici, mi sento propulsa da una forza esterna che mi pervade e carica la mia energia. La combinazione perfetta di sole, estate, natura.




Spensieratamente salgo prendendo ripide scorciatoie che tagliano le curve del sentiero, incrocio cascatelle che il sole spinge a valle dai nevai delle vette, presto l’erba si dirada e trovo solo rocce.
Seguo un piccolo torrente freddo di ghiacciaio e risalendolo avvisto in breve il rifugio. Da lontano mi sembra una caserma, così lungo e stretto e ricoperto di lamiera: metallo, non sassi di montagna. Ma come lo raggiungo ne sento subito la convivialità.
Arrivando al rifugio Vittorio Emanuele
Al rifugio: e ora la tipica attesa
del giorno prima della cima, qualche breve perlustrazione della via di domani, qualche discesa al torrente, rendere interessante il tempo, riposarsi, poi le chiacchiere al tavolo sui libri di montagna e le foto storiche di scalate appese alle pareti. La sera a cena si sentono la tensione e l’eccitazione.

Partenza per la cima: ore 3.30, prima colazione. Come si può mangiare a quest’ora?? Non me lo spiego, ma mangio con gran gusto! La colazione è abbondante come in tutti i rifugi italiani, se ne vuoi ancora basta chiedere e plachi ogni brama di zuccheri. Cerco di trattenermi per non appesantirmi, ma sento che il mio corpo prende vigore e si sveglia del tutto.

Dal rifugio al ghiacciaio: verso le 4 e un quarto siamo pronti nella notte buia, non ho freddo, il sole di ieri che ho lasciato diffondere in me copiosamente mi sta ancora riscaldando.

I primi passi sono sulla morena e quindi un po’ faticosi con le pietre instabili che si muovono sotto gli scarponi, ma è un buon riscaldamento. Cerco di attivare ogni muscolo senza affannarmi, i miei inizi sono lenti.

Poi comincia la neve e la affrontiamo con i soli scarponi così compatta com’è su questa lieve pendenza iniziale. Ancora il mio respiro è un po’ rapido e mi fa piacere fermarmi poco dopo quando è ora di fissare i ramponi e mettersi in cordata.

Siamo partiti in tanti dal rifugio e ci fermiamo più o meno tutti nella stessa zona, appena prima che il pendio diventi più ripido. Le lampade frontali illuminano la montagna e i nostri visi arrossati dall’aria fredda.

Il ghiacciaio: lacci ben tirati, nodi saldi, ci guardiamo scoccando il segnale, via sul ghiacciaio!
La notte è limpida, la neve perfetta, i ramponi la mordono bene e il mio movimento diventa presto fluido e ben calibrato.
Tutto il mio corpo si muove in concerto. È un alternarsi di salite lievi e tratti più ripidi cosicché si resta ben svegli.

Vado avanti senza sentire la fatica, ieri respiravo il sole, ora respiro la montagna nella notte.

Alba: camminiamo e camminiamo e poi mi accorgo che il cielo si sta rischiarando, una nuova alba d’estate, nuova energia da assimilare, da bere a sorsate per continuare a salire.  

Verso la Schiena d'Asino alla luce dell'alba





Il ghiacciaio si incurva nella schiena d’asino, mentre la Becca di Moncorvé spunta dietro la bozza innevata.
Scruto il percorso ancora da fare, su su fino alla cresta di rocce, ma non vedo oltre, ancora non riesco a scorgere la Madonnina.

Continuo sciolta su questa neve perfetta, appena ghiacciata.

In cresta: appena sotto la cima c’è una fila di persone, tutte ferme che guardano la vetta. Le raggiungiamo. Qualcuno se ne sta seduto nello spiazzo del pendio, aspetta, prende il sole, non affronterà l’ultimo tratto di rocce fino alla cima.
 

Tanti sono pronti a continuare ma il passaggio appena più avanti è stretto e ci si va uno per volta, ecco perché c’è l’ingorgo. C’è un po’ di nervosismo, un po’ per l’attesa un po’ per la tensione per quell’ultimo tratto sulla parete.

E noi? Alessandro non si ferma, ci guida un po’ in basso rispetto alla fila disciplinata, li aggiriamo tra gli insulti di qualcuno che si è accorto del trucco e raggiungiamo le rocce appena più basse. Da lì risaliamo e arriviamo all’imbocco del ripiano roccioso sospeso sul fianco del Gran Paradiso, che ora risplende di sole.

La cima: studio il percorso su quella striscia di roccia cercando di individuare i punti dove potrò sistemare le punte dei ramponi che ancora portiamo legati agli scarponi. La traversata è breve ma bisogna essere sicuri.

La cima prima di intraprendere l'ultimo tratto
Un gran respiro, mi aggancio alla corda fissa e vado, accorta e ferma ad ogni appoggio scivolo lungo la parete, poi spingendomi su un ginocchio salgo sulle ultime roccette, mi rialzo, vedo la Madonnina proprio sopra di me e con un paio di passi la raggiungo.
 

  Appena appoggiata alla statua guardo il mondo attorno e mi stupisco.


Giù da una parte la fila di persone che sta salendo,



dall'altra qualche intrepido che si sta arrampicando sulle cime vicine,
 
 
in mezzo io sul Gran Paradiso e il cielo pieno di vette innevate.


 
Panorama dal Gran Paradiso
Tempo di scendere: cautamente ci caliamo sulle rocce della cima, scambiandoci con chi sta salendo, quasi strisciando l’uno contro l’altro. Ritracciamo il nostro percorso alternativo sotto la linea più popolare di ascesa, ritroviamo quelli che aspettano seduti sul pendio a monte e poi giù rapidi verso il rifugio, prima che la neve si sciolga baciata dall’aria d’estate.

Ritorno sulla Schiena d'Asino in pieno sole


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